domenica 9 settembre 2012

19. Di Marco e di quella volta su un lungomare

Il sole era da poco tramontato dietro l’orizzonte di un mare blu cobalto, lo stesso colore che di lì a poco avrebbe assunto il cielo. Il caldo, tra le strade strette e chiuse del borgo vecchio, toglieva quasi il respiro, ma lì sul lungomare la brezza ne smorzava il tormento. C’era una folla variegata che cercava sollievo e distrazione passeggiando sulla lunga terrazza: non tanto gli abitanti del borgo, quanto frotte di ragazzini arrivati dai paesi dell’immediato entroterra che si mischiavano con i tanti turisti di diversa provenienza, un’unica voce di fondo che cambiava continuamente dialetto ed accento.
Marco stava lì in mezzo, i gomiti sulla balaustra affacciata sulla stretta spiaggia, dove i bagnini stavano chiudendo uno ad uno gli ombrelloni ed i ragazzi dei bar andavano accendendo luci colorate e candele sui tavolini. Aveva il telefono ancora stretto in mano. Guardava il mare, la linea ancora netta che divideva l’acqua dal cielo, e cercava di concentrarsi sul rumore delle onde che s’infrangevano sugli scogli, nascosti dietro le case del borgo, intenzionato a cancellare il brusio fastidioso di tutte quelle voci sconosciute.
“Che fai qui?” gli chiese Carlotta, emergendo inaspettatamente dal vuoto che Marco s’era creato attorno. “Ti stiamo aspettando per l’aperitivo.”
Marco non mosse un dito. “Ero al telefono con Andrea…”
Carlotta s’appoggiò alla balaustra, accanto a lui. Era rossa come un pomodoro, nonostante le creme protettive e tutte le giornate passate al lago per allenare la pelle al sole del sud. “E quindi…?”
“Niente. Mi ha chiesto un’altra volta di raggiungere lui ed i suoi ai lidi, ora che torniamo su…”
“E quindi…?” ripeté Carlotta.
“Se in ufficio non mi fanno storie, prendo il venerdì di ferie e li raggiungo, poi domenica sera rientriamo insieme.”
“Sennò li raggiungerai venerdì sera, dopo il lavoro. Qual è il problema?”
“Non ci sono problemi…”
“Eppure la tua faccia sembra dire altro…” disse Carlotta.
Marco smise di fingersi lontano. Incrociò le braccia sulla balaustra, vi poggiò il capo e guardò Carlotta in faccia. “Sta finendo…”
Carlotta trasalì sorpresa e prese a trattenere il fiato. “Che cosa…?”
“Questa vacanza sta finendo…” rispose Marco.
“Ah ecco…” sospirò Carlotta, ricominciando a respirare. “È stata una bella vacanza, vero? Ci siamo divertiti. Ma anche le cose belle finiscono, amico mio.”
“Eh già…”
“Ma di’ la verità: non c’è stato momento in cui non hai pensato ad Andrea. E adesso che torniamo, finalmente puoi raggiungerlo e rivederlo…”
“Già…”
“L’estate prossima, magari, potremo organizzare una vacanza tutti insieme, anche con Andrea ed il bambino. Non sarebbe bello?”
“Sì certo. Ma di qua ad un anno chissà…” mormorò Marco.
“Ti odio quando sei così” sentenziò Carlotta.
Così? Come?” domandò Marco.
Carlotta non gli rispose. Non ce n’era bisogno. Anche Marco si stava sui coglioni da solo quando si lasciava prendere da certe assurde malinconie.
“Tu l’hai detto” riprese Marco, “anche le cose belle finiscono…”
“È questo il problema, Marco? Hai paura che finisca tra te ed Andrea…?”
“Mi ha completamente conquistato. E tu sola sai quanto io avessi giurato e spergiurato che non mi sarei più lasciato coinvolgere da un amore tanto da non riuscire a pensare ad altro. Mai più, dopo Giovanni. Ed invece eccomi qui. Una settimana lontano da Andrea, ed in sette giorni non c’è stato un momento in cui non mi sia chiesto come sarebbe stato se lui fosse stato qui con noi. Cos’avrebbe detto, cos’avrebbe ordinato a cena. Quali commenti avrebbe fatto. E te ne sei accorta anche tu; tu me l’hai appena detto: non c’è stato momento in cui non hai pensato a lui. Ed è vero, porco cazzo, è vero… E se domani poi finisse? Che mi resterebbe da fare se domani finisse…?”
“Se domani finisse e se l’avessi vissuto fino in fondo” rispose Carlotta, “ti resterebbero comunque tutti i bei ricordi. Però, se finisse e tu avessi passato tutto il tempo ad aver paura che finisse, avresti nient’altro che rimpianti…”
“I bei ricordi non bastano…”
“Avresti i bei ricordi, ma prima della fine avresti avuto tutti quei momenti di gioia, di passione, di spasso che avreste condiviso… Porco cazzo, non farmi inoltrare in discorsi seri con condizionali e congiuntivi: mi scappa da ridere e non divento più credibile. La sostanza è che non devi perdere tempo ad avere paura di domani, se oggi sei felice.”
“Lo so che hai ragione, lo so, ma…”
“Guarda me e Dario, per esempio” riprese Carlotta. “Stiamo insieme o non stiamo insieme? Boh chissà. Scherziamo e ridiamo insieme come due deficienti, come facevamo prima. Ma adesso, ogni tanto, quando nessuno ci vede, scopiamo. E scopiamo alla grande. E non ci facciamo domande sul domani. Non facciamo progetti insieme, non parliamo di matrimonio o di bambini, perché sappiamo di non avere un domani insieme. E ci basta quello che abbiamo oggi…”
“E a te va bene così? Ti accontenti?”
“No, Marco. Io non me ne accontento. È il verbo che usi che è sbagliato. Mi accontento di qualcosa se so che sforzandomi potrei avere qualcosa di più ma non voglio sforzarmi per ottenerla. Io invece sono felice così: non voglio di più. Dario è… è…”
“Dario è una testa di cazzo… Ed anche tu lo sei, un poco.”
“Sì. Ma siamo due teste di cazzo felici.”
“Avete fatto sesso anche stanotte, al bed&breakfast, vero?” chiese Marco, senza alcuna discrezione.
“Come fai a saperlo?”
“Quando Dario è entrato in camera, mi ha svegliato. Ha acceso la luce e ha fatto un sacco di rumore mentre si spogliava. Io non ho detto niente e ho fatto finta di dormire, ma l’ho visto: era tutto rosso, su di giri e sorrideva beato come uno che ha appena fatto il miglior sesso della sua vita. E meno male che me l’hai confermato un attimo fa, sennò questa sarebbe stata la più grossa grassa gaffe nella storia dell’umanità…”
Carlotta rise. “Sì tranquillo. Il miglior sesso della sua vita, l’ha consumato con me stanotte. Sul terrazzino davanti al bed&breakfast.”
“Dove facciamo colazione…?”
“Sul tavolo dove facciamo colazione. Ricordatelo domani mattina. Ma se fai battutine idiote al riguardo, giuro che poi domani ti getto dall’aereo.”
“Non ti capisco. E adesso l’hai lasciato da solo al tavolo con Barbara e con sua cugina: non sei gelosa? Non pensi che…”
“No, Marco. Non ci penso. Fino a due istanti fa, almeno, non ci pensavo. Ma se anche dovesse succedere, che fa? Qual è il problema? Io e Dario non abbiamo anelli al dito, non abbiamo un mutuo in comune o un bambino. Viviamo questo rapporto giorno per giorno e non ci chiediamo come evolverà. Io, almeno, non me lo chiedo…”
“Dario invece?”
“Beh a dire il vero… stanotte ha cominciato a fare discorsi strani, se non fosse il caso di esporci almeno con gli amici, se io mi considerassi libera di incontrare qualcun altro… ho dovuto tappargli la bocca…”
“Ah sì, ho capito in che modo gliel’hai tappata… E perché invece non cominciate ad affrontare l’argomento? A pensare a domani…?”
“Perché non voglio passare l’ultima sera delle mie ferie da sola sul lungomare a contemplare le onde, come qualcuno di mia conoscenza. Perché c’è un aperitivo con gli amici che mi aspetta, qui ed adesso… Andiamo? Abbiamo trovato un bar fichissimo…”
“Andiamo” accondiscese Marco.
Ed il bar era veramente fichissimo. La compagnia era divertentissima.
E domani ed Andrea, poi, sarebbero stati un po’ meno distanti.

L'episodio 1.
L'episodio 20.

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