lunedì 24 settembre 2012

Elisa - QUALCOSA CHE NON C’È

(testo e musica di Elisa Toffoli)




Tutto questo tempo a chiedermi cos’è che non mi lascia in pace
Tutti questi anni a chiedermi se vado veramente bene così come sono, così
Così un giorno ho scritto sul quaderno: io farò sognare il mondo con la musica
Non molto tempo dopo, quando mi bastava fare un salto per raggiungere la felicità
E la verità è che

Ho aspettato a lungo qualcosa che non c’è
Invece di guardare il sole sorgere

Questo è sempre stato un modo per fermare il tempo e la velocità
I passi svelti della gente, la disattenzione, le parole dette senza umiltà
Senza cuore, così solo per far rumore

Ho aspettato a lungo qualcosa che non c’è
Invece di guardare il sole sorgere

E miracolosamente non ho smesso di sognare
Miracolosamente non riesco a non sperare

E se c’è un segreto è fare tutto come se vedessi solo il sole
Un segreto è fare tutto come se
Fare tutto come se vedessi solo il sole
E non qualcosa che non c’è

giovedì 20 settembre 2012

Dicono che me lo merito

Dicono di me che sono eccessivamente egoista ed egocentrico, e per tale ragione è ovvio che io sia solo (da intendersi come zitello). E me lo ha detto uno con cui condivido qualche caffè ed il tavolo in mensa, nient'altro. Non dovrebbe esserci motivo perché faccia tanto male. Tanto più che un testimone dell'evento sostiene che sbaglio ad essermela presa, che si trattava solo di una battuta senz'alcuna cattiveria, tutt'al più una malizia non voluta e pertanto veniale...
Lì per lì mi sono semplicemente zittito, incapace di replicare con la medesima veniale cattiveria. Poi ho ripreso tranquillamente la mia giornata, il mio lavoro, i miei colloqui. Solo quando è scesa la sera e tutte le voci attorno a me si sono smorzate, allora sono stato raggiunto dall'implacabile ronzio inviperito della mia coscienza, offesa a morte.
Solo una battuta? Davvero...?
Se io andassi da qualcuno che sta affrontando in quel momento la separazione e gli dicessi che porta sempre delle cravatte orribili e perciò la moglie fa bene a chiedere il divorzio, la mia sarebbe chiaramente una battuta, ma venir ripagato con un occhio nero, credo che sarebbe il minimo sindacale.
Non è che con l'alibi del paradosso deve essere lecito dire qualsiasi nefandezza. Certi argomenti personali dovrebbero essere trattati con i guanti di velluto.
Poi sarà che sono solo, sarà che un tantinello egocentrico mi ci sento, sarà che ogni tanto mi chiedo cosa c'è di sbagliato in me e perché non riesca a farmi amare... ma no, non riesco ad archiviare quella frase né a farmi  una ragione dell'assenza di compassione del subumano che l'ha pronunciata.

domenica 16 settembre 2012

20. Di Marco e di tutte quelle volte (La formula magica)

La volta che Andrea convinse Marco a trascorrere una domenica in bicicletta sulle colline e scoppiò un temporale che li costrinse a trascorrere tre ore bagnati fradici sotto un cavalcavia.
La volta che parteciparono insieme ad una serata-karaoke e duettarono in una canzone di Pacifico e Malika Ayane, e quando tornarono al loro tavolo trovarono Carlotta in lacrime.
La volta che Davide sfidò Marco ad una partita di pallone ed il bambino gli piantò il muso perché lo spilungone era un portiere troppo forte per i suoi rigori.
La prima volta che Davide si addormentò in braccio a Marco.
La volta che Linda, la madre di Davide, invitò Marco a cena, loro due soli, e per tutta la serata Marco ebbe la sensazione che Linda si chiedesse che cosa trovasse Andrea in lui che non aveva trovato in lei, ma mentre mangiavano il dessert aveva fatto una battuta atroce ed allora avevano cominciato entrambi a ridere di cuore, tanto che alla fine Linda l’aveva salutato con un sorriso ed un abbraccio tali che lui aveva capito di aver guadagnato un’amica.
La volta che Marco ed Andrea erano stati interrotti da una telefonata perché la madre di Andrea era caduta dalle scale di casa e, mentre raggiungevano l’ospedale che ancora non conoscevano la diagnosi, Marco vide per la prima volta Andrea piangere.
La volta che il padre di Andrea s’era presentato a sorpresa a casa di Marco perché l’aveva sentito dire che aveva il citofono guasto e gliel’aveva aggiustato, poi s’era fermato fino a tarda sera a parlare con lui.
La volta che portarono Davide sulla seggiovia che collega il lago alla montagna, ed il bambino che correva, occhioni spalancati, da una parte all’altra della cabina per vedere il lago che rimpiccioliva e la montagna che ingigantiva.
La volta che Marco aveva sentito in radio la voce di Andrea che aveva chiamato per dedicargli una canzone.
La volta del loro primo weekend romantico in laguna e la loro prima volta insieme alle terme.
E poi ci fu quella volta che Andrea gli chiese di andare a vivere con lui, un mercoledì sera che avevano trascorso insieme in casa di Andrea e che sembrava essere sul punto di concludersi senz’infamia e senza lode: Marco s’era addormentato sul divano, con la testa in grembo ad Andrea, che invece aveva provato a seguire il pilot di un nuovo telefilm, senza troppo successo perché quella sera aveva un solo chiodo fisso.
Si chinò sul faccino di Marco, gli passò un dito sulle labbra schiuse, lo baciò lieve sulla fronte ed all’orecchio gli sussurrò: “È ora di svegliarsi, Biancaneve…”
“Che ore sono?” domandò Marco senza muoversi e senza nemmeno aprire gli occhi.
“È ora che tu ti levi e che io mi alzi dal divano, perché non sento più circolazione dalla vita in giù…”
Marco si tirò su a sedere e, tastandosi con il dorso della mano l’angolo della bocca, chiese: “Ti ho sbavato addosso?”
Andrea sorrise e gli fece cenno di no. Poi si issò in piedi e spense il televisore. “Non hai sbavato e non hai nemmeno russato, neanche un poco. Quando dormi sembri una creatura angelica… Poi purtroppo ti svegli…”
“Fosse stato per me, avrei continuato a dormire” rispose Marco stiracchiandosi, poi guardò l’orologio. “Tra l’altro è ancora presto. Vuoi già mandarmi a casa…?”
“No. È solo che stavo pensando ad una cosa…”
“Oh no, un’altra rivelazione? Credevo di sapere tutto ormai. Che c’è, hai un fratello gemello nascosto da qualche parte? Hai scoperto di essere stato scambiato alla nascita e di essere uno dei figli dei Pooh…?”
“Te l’ho già detto che quando dormi sembri un angelo…?”
Marco rise. “Sì. Ma adesso sono sveglio. E ci siamo già passati: diventi insopportabile quando hai qualcosa che ti costa dire. È meglio se la dici subito e se ti levi il pensiero.”
Andrea tornò a sedersi sul divano, faccia a faccia con Marco. “Non è un segreto. Si tratta di una cosa che ho pensato e vorrei che ne parlassimo…”
Marco gli fece cenno di continuare con il capo.
“Pensavo che potresti trasferirti qui. Portare qui tutte le tue cose, risparmiarti i soldi dell’affitto e passare insieme a me più tempo di quanto riusciamo a passarne adesso.”
Il sorriso di Marco si spense. “Non ne avevamo mai parlato…”
“È il caso di cominciare a farlo, non trovi?”
“E se qualcosa va storto?” chiese Marco.
“Di cosa parli…?”
“Se tra noi non funzionasse…?”
“Io credo che funzionerà” rispose Andrea. “Ma credevo anche che l’idea di venire a vivere da me ti avrebbe entusiasmato, e pare invece che sbagliassi…”
Marco non rispose.
Andrea, contrariato, si alzò ed andò in cucina per prendere dal frigo una birra.
“Io lo voglio” disse Marco a voce alta, dal salotto.
“Che cosa vuoi?” domandò Andrea, riaffacciandosi sull’altra stanza con la bottiglia di birra in mano.
“Voglio passare il resto della mia vita con te…” gli rispose Marco.
“Ma…?” Andrea sentiva che doveva esserci un ma.
“Ma non so cosa vuoi tu…”
“Di cosa stiamo parlando? Io ti ho chiesto di venire a vivere qui nel mio appartamento. Divideremo il letto, il divano ed il bagno. Sacrificherò spazio per te nell’armadio e nel frigo. E così potremo dormire insieme tutte le notti e svegliarci nello stesso letto tutte le mattine. E sono quasi del tutto convinto che questo ci renderà entrambi felici.”
“Per quanto tempo?” chiese Marco.
“Ma perché hai questa fottuta paura che finisca? Perché non vuoi ammettere che adesso insieme stiamo bene e che potrebbe continuare ad andarci bene per parecchio tempo ancora, magari anche per sempre…?”
“Credi davvero che potrebbe essere per sempre?”
“Non ho una bacchetta magica, non posso sapere con certezza se sarà per sempre” rispose Andrea.
“Voglio solo sapere se tu ci credi” disse Marco.
Si guardarono qualche istante, poi Andrea capì cosa realmente voleva Marco.
Tornò in cucina, prese dal frigo una seconda birra e l’aprì. Tornò a sedersi sul divano, accanto a Marco e gli porse da bere.
“Finora è stato tutto molto semplice, ti è venuto tutto naturale” disse Marco. “Ti è venuto naturale attaccare bottone quella volta in libreria. Ti è venuto naturale baciarmi quella volta al concerto e quella sera stessa ti è venuto naturale salire da me a far l’amore. Ti è venuto tutto facile, perché sei così: fai le cose per istinto e non riesci a farle se ti senti costretto. Fare il padre ti viene facile e naturale; fare il marito sarebbe stata una costrizione e ti sei rifiutato…”
Prese la parola Andrea. “Ti ho chiesto io di venire a vivere qui, e l’ho fatto perché credo sia una naturale evoluzione del nostro rapporto. Il nostro è il primo legame in vita mia che non mi spaventa. Tu sei la prima persona con cui mi viene facile e naturale stare insieme. Ed io so perché mi succede di sentirmi così con te. E so anche che è quello che vuoi che ti dica prima di accettare…”
“Sei sicuro che accetterò di trasferirmi qui?” chiese Marco, con un sorriso lievemente beffardo.
“Ne sono sicuro, perché so che sei innamorato di me. Ed ho capito cosa ti trattiene...”
“Ho bisogno che tu lo dica. Che tu dica che c’è qualcosa che ci tiene insieme, che non lo fai solo perché ti viene facile.”
“Non te l’ho ancora detto, in effetti” convenne Andrea, prendendogli di mano la birra e poggiando entrambe le bottigliette a terra. “Non l’ho detto perché finora non volevo ammetterlo nemmeno a me stesso…” spiegò mettendosi in ginocchio, davanti a Marco. “Ma è ora di farlo, vero?”
Andrea prese le mani di Marco tra le proprie, si schiarì la voce, sorrise. Guardò Marco negli occhi e nell’istante in cui gli vide spuntare un luccicone tra le ciglia, ritrovò la voce e pronunciò la formula magica che avrebbe dissipato tutti i dubbi, cancellato ogni timore, risolto qualsiasi problema, costretto il sole a splendere anche di notte, il vento a placarsi ed il diluvio a cessare. Le parole su cui avrebbero costruito insieme il loro futuro.
Disse: “Ti amo.”

Il 1° episodio.

giovedì 13 settembre 2012

Al cinema con Edgar - Come non detto

Se dico anche solo una parola in più oltre a quanto già è anticipato nel trailer, vi rovino tutto il film. Perciò aggiungo solo che mi è molto piaciuto, ma sarebbe stato formidabile vederlo mano nella mano a qualcuno.

domenica 9 settembre 2012

19. Di Marco e di quella volta su un lungomare

Il sole era da poco tramontato dietro l’orizzonte di un mare blu cobalto, lo stesso colore che di lì a poco avrebbe assunto il cielo. Il caldo, tra le strade strette e chiuse del borgo vecchio, toglieva quasi il respiro, ma lì sul lungomare la brezza ne smorzava il tormento. C’era una folla variegata che cercava sollievo e distrazione passeggiando sulla lunga terrazza: non tanto gli abitanti del borgo, quanto frotte di ragazzini arrivati dai paesi dell’immediato entroterra che si mischiavano con i tanti turisti di diversa provenienza, un’unica voce di fondo che cambiava continuamente dialetto ed accento.
Marco stava lì in mezzo, i gomiti sulla balaustra affacciata sulla stretta spiaggia, dove i bagnini stavano chiudendo uno ad uno gli ombrelloni ed i ragazzi dei bar andavano accendendo luci colorate e candele sui tavolini. Aveva il telefono ancora stretto in mano. Guardava il mare, la linea ancora netta che divideva l’acqua dal cielo, e cercava di concentrarsi sul rumore delle onde che s’infrangevano sugli scogli, nascosti dietro le case del borgo, intenzionato a cancellare il brusio fastidioso di tutte quelle voci sconosciute.
“Che fai qui?” gli chiese Carlotta, emergendo inaspettatamente dal vuoto che Marco s’era creato attorno. “Ti stiamo aspettando per l’aperitivo.”
Marco non mosse un dito. “Ero al telefono con Andrea…”
Carlotta s’appoggiò alla balaustra, accanto a lui. Era rossa come un pomodoro, nonostante le creme protettive e tutte le giornate passate al lago per allenare la pelle al sole del sud. “E quindi…?”
“Niente. Mi ha chiesto un’altra volta di raggiungere lui ed i suoi ai lidi, ora che torniamo su…”
“E quindi…?” ripeté Carlotta.
“Se in ufficio non mi fanno storie, prendo il venerdì di ferie e li raggiungo, poi domenica sera rientriamo insieme.”
“Sennò li raggiungerai venerdì sera, dopo il lavoro. Qual è il problema?”
“Non ci sono problemi…”
“Eppure la tua faccia sembra dire altro…” disse Carlotta.
Marco smise di fingersi lontano. Incrociò le braccia sulla balaustra, vi poggiò il capo e guardò Carlotta in faccia. “Sta finendo…”
Carlotta trasalì sorpresa e prese a trattenere il fiato. “Che cosa…?”
“Questa vacanza sta finendo…” rispose Marco.
“Ah ecco…” sospirò Carlotta, ricominciando a respirare. “È stata una bella vacanza, vero? Ci siamo divertiti. Ma anche le cose belle finiscono, amico mio.”
“Eh già…”
“Ma di’ la verità: non c’è stato momento in cui non hai pensato ad Andrea. E adesso che torniamo, finalmente puoi raggiungerlo e rivederlo…”
“Già…”
“L’estate prossima, magari, potremo organizzare una vacanza tutti insieme, anche con Andrea ed il bambino. Non sarebbe bello?”
“Sì certo. Ma di qua ad un anno chissà…” mormorò Marco.
“Ti odio quando sei così” sentenziò Carlotta.
Così? Come?” domandò Marco.
Carlotta non gli rispose. Non ce n’era bisogno. Anche Marco si stava sui coglioni da solo quando si lasciava prendere da certe assurde malinconie.
“Tu l’hai detto” riprese Marco, “anche le cose belle finiscono…”
“È questo il problema, Marco? Hai paura che finisca tra te ed Andrea…?”
“Mi ha completamente conquistato. E tu sola sai quanto io avessi giurato e spergiurato che non mi sarei più lasciato coinvolgere da un amore tanto da non riuscire a pensare ad altro. Mai più, dopo Giovanni. Ed invece eccomi qui. Una settimana lontano da Andrea, ed in sette giorni non c’è stato un momento in cui non mi sia chiesto come sarebbe stato se lui fosse stato qui con noi. Cos’avrebbe detto, cos’avrebbe ordinato a cena. Quali commenti avrebbe fatto. E te ne sei accorta anche tu; tu me l’hai appena detto: non c’è stato momento in cui non hai pensato a lui. Ed è vero, porco cazzo, è vero… E se domani poi finisse? Che mi resterebbe da fare se domani finisse…?”
“Se domani finisse e se l’avessi vissuto fino in fondo” rispose Carlotta, “ti resterebbero comunque tutti i bei ricordi. Però, se finisse e tu avessi passato tutto il tempo ad aver paura che finisse, avresti nient’altro che rimpianti…”
“I bei ricordi non bastano…”
“Avresti i bei ricordi, ma prima della fine avresti avuto tutti quei momenti di gioia, di passione, di spasso che avreste condiviso… Porco cazzo, non farmi inoltrare in discorsi seri con condizionali e congiuntivi: mi scappa da ridere e non divento più credibile. La sostanza è che non devi perdere tempo ad avere paura di domani, se oggi sei felice.”
“Lo so che hai ragione, lo so, ma…”
“Guarda me e Dario, per esempio” riprese Carlotta. “Stiamo insieme o non stiamo insieme? Boh chissà. Scherziamo e ridiamo insieme come due deficienti, come facevamo prima. Ma adesso, ogni tanto, quando nessuno ci vede, scopiamo. E scopiamo alla grande. E non ci facciamo domande sul domani. Non facciamo progetti insieme, non parliamo di matrimonio o di bambini, perché sappiamo di non avere un domani insieme. E ci basta quello che abbiamo oggi…”
“E a te va bene così? Ti accontenti?”
“No, Marco. Io non me ne accontento. È il verbo che usi che è sbagliato. Mi accontento di qualcosa se so che sforzandomi potrei avere qualcosa di più ma non voglio sforzarmi per ottenerla. Io invece sono felice così: non voglio di più. Dario è… è…”
“Dario è una testa di cazzo… Ed anche tu lo sei, un poco.”
“Sì. Ma siamo due teste di cazzo felici.”
“Avete fatto sesso anche stanotte, al bed&breakfast, vero?” chiese Marco, senza alcuna discrezione.
“Come fai a saperlo?”
“Quando Dario è entrato in camera, mi ha svegliato. Ha acceso la luce e ha fatto un sacco di rumore mentre si spogliava. Io non ho detto niente e ho fatto finta di dormire, ma l’ho visto: era tutto rosso, su di giri e sorrideva beato come uno che ha appena fatto il miglior sesso della sua vita. E meno male che me l’hai confermato un attimo fa, sennò questa sarebbe stata la più grossa grassa gaffe nella storia dell’umanità…”
Carlotta rise. “Sì tranquillo. Il miglior sesso della sua vita, l’ha consumato con me stanotte. Sul terrazzino davanti al bed&breakfast.”
“Dove facciamo colazione…?”
“Sul tavolo dove facciamo colazione. Ricordatelo domani mattina. Ma se fai battutine idiote al riguardo, giuro che poi domani ti getto dall’aereo.”
“Non ti capisco. E adesso l’hai lasciato da solo al tavolo con Barbara e con sua cugina: non sei gelosa? Non pensi che…”
“No, Marco. Non ci penso. Fino a due istanti fa, almeno, non ci pensavo. Ma se anche dovesse succedere, che fa? Qual è il problema? Io e Dario non abbiamo anelli al dito, non abbiamo un mutuo in comune o un bambino. Viviamo questo rapporto giorno per giorno e non ci chiediamo come evolverà. Io, almeno, non me lo chiedo…”
“Dario invece?”
“Beh a dire il vero… stanotte ha cominciato a fare discorsi strani, se non fosse il caso di esporci almeno con gli amici, se io mi considerassi libera di incontrare qualcun altro… ho dovuto tappargli la bocca…”
“Ah sì, ho capito in che modo gliel’hai tappata… E perché invece non cominciate ad affrontare l’argomento? A pensare a domani…?”
“Perché non voglio passare l’ultima sera delle mie ferie da sola sul lungomare a contemplare le onde, come qualcuno di mia conoscenza. Perché c’è un aperitivo con gli amici che mi aspetta, qui ed adesso… Andiamo? Abbiamo trovato un bar fichissimo…”
“Andiamo” accondiscese Marco.
Ed il bar era veramente fichissimo. La compagnia era divertentissima.
E domani ed Andrea, poi, sarebbero stati un po’ meno distanti.

L'episodio 1.
L'episodio 20.

venerdì 7 settembre 2012

In America lo sai che i coccodrilli vengon fuori dalla doccia...

In America, le Forze del Bene [leggi: il Partito Democratico] sono in continua lotta contro le Forze del Male; il capo delle Forze del Bene, agli occhi di molti un mitologico eroe ancora giovane e bello, non promette di conquistare il Paese e di cambiarlo in meglio di punto in bianco, ma è pronto a dare battaglia, crede nella vittoria finale del Bene e così facendo permette, a chi lo appoggia, di sognare ancora un mondo migliore per il quale valga la pena di schierarsi e di combattere.
In Italia, le Forze del Bene [sforzati parecchio e poi leggi un po' quello che ti pare] sono guidate da una mostruosa creatura policefala ma assolutamente invertebrata, che, se gli chiedi perché non proviamo a cambiare qualcosa, replica con una stanca scrollata di spalle o, forse peggio, ti colpisce alla nuca con la Costituzione: non che l'abbia letta e che ti indichi dove in essa sta scritto quello che non c'è scritto; ti tira proprio in fronte il volumetto, di spigolo, come fosse un immutabile mattone di pietra.



Quando alla fine, questa cosa che chiamano Presidente dice: "Non ho tutte queste ambizioni nella vita io..." ecco, allora capisci che quel mostro è pure morto dentro.