martedì 17 luglio 2012

14. Di Marco e di quella volta che mangiò sushi

Il mercoledì successivo alla gita al lago, verso metà della mattinata, Marco ricevette un sms da parte di Carlotta che recitava solamente: Devo parlarti. La cosa buffa era che Marco aveva chiamato Carlotta la sera prima e che erano rimasti a conversare di facezie al telefono almeno un’ora.
Cos’è successo, stellina cara? rispose Marco.
La replica di Carlotta si fece attendere un’oretta buona: No, te lo dico quando ci vediamo. Quando?
Marco conosceva Carlotta talmente bene che la immaginò mentre scriveva e cancellava più volte quel che voleva dirgli ed alla fine, non trovando le parole giuste, rinunciava a metterle per iscritto. Pausa pranzo insieme? Avviso anche Dario?
Non dire NIENTE a D!!! Meglio dopo lavoro se non hai impegni con A
Non ho ancora sentito A per stasera. Cena io e te, vuoi?
Al giappo. Porta pure A se si fa vivo.
Il giappo in questione era il ristorante giapponese proprio sotto l’appartamento che Carlotta condivideva con Barbara e con una terza coinquilina, la Sandra. L’appartamento si trovava all’ultimo piano di un’elegante palazzina a ridosso del centro storico; Carlotta vi abitava fin da quando era una matricola universitaria e al tempo divideva le tre stanze da letto, i due bagni e la cucina con altre cinque ragazze, tutte quante iscritte a Giurisprudenza: per i primi anni, le studentesse si alternavano l’una via l’altra ed ogni volta che una lasciava l’appartamento, perché si laureava o perché trovava una sistemazione migliore, era sostituita da una qualche collega più giovane. Carlotta divenne a breve giro la veterana di quella ristretta congrega e fu la prima a potersi permettere di pagare la quota per una camera tutta sua, quando trovò impiego come segretaria in un grosso studio legale, impiego che poi la convinse ad abbandonare definitivamente gli studi. Da diverso tempo, in virtù dell’ottimo rapporto che l’anziana padrona di casa aveva instaurato con la sua inquilina anziana, l’affitto era di fatto bloccato; e dato che la signora aveva delegato a Carlotta ogni decisione in merito agli altri locatari, man mano che le studentesse lasciavano campo libero, Carlotta aveva optato per ridurre a tre il numero degli inquilini, uno per stanza: Barbara occupava stabilmente la stanza di mezzo da ormai quattro anni; Sandra era arrivata da meno di un anno.
Carlotta aveva chiesto più d’una volta a Marco di diventare il terzo coinquilino, ma lui preferiva la libertà di un appartamento tutto suo, che peraltro gli costava pure meno della quota che avrebbe dovuto versare a Carlotta. Ciò nondimeno, un rappresentante del sesso maschile aveva già alloggiato nell’ambito attico, ma ne era stato cacciato come Adamo dall’Eden, quand’era stato sorpreso a cogliere il frutto proibito da due diversi alberi: fuor di metafora, era stato costretto a fare i bagagli quand’era venuto a galla che andava abitualmente a letto con Carlotta quando Barbara era fuori casa, e che pure il viceversa.
Il pianterreno della palazzina da qualche anno ospitava un ristorante giapponese gestito da una famiglia cinese: anche nei periodi di crisi più nera, di fatto, il livello minimo di sussistenza della famigliola di origini asiatiche sarebbe stato garantito dalle inquiline dell’ultimo piano e dai loro ospiti.
Quella sera, quando Marco arrivò, non suonò neppure al citofono di Carlotta ed entrò direttamente nel ristorante. Carlotta stava seduta al solito tavolo d’angolo e, non appena la porta si fu richiusa alle spalle di Marco con un tintinnare di campanellini, si sbracciò per farsi notare da Mei e farsi portare la loro solita selezione di sushi e di sashimi.
“Andrea non viene?” domandò.
“Cena di lavoro: pare che stia per siglare il contratto dell’anno…”
“Pare che tu abbia accalappiato un gran bel partito…”
“Non divagare e dimmi quello che mi devi dire.”
Carlotta restò impietrita da quel tono sbrigativo ed autoritario.
“Tanto l’ho capito che Dario ne sa più di me” riprese Marco, “e ciò non è affatto bello, dato che sono io –ripeto: io–  il tuo amico del cuore…” aggiunse poi con una vocina fanciullesca.
“Dario?” domandò Carlotta, nervosamente. “Cosa t’ha detto?”
“Non m’ha detto niente. Ma a pranzo mi ha chiesto di te, e lui non mi chiede mai di te…”
“E cosa ti ha chiesto?”. C’era un che di supplichevole nel tono della domanda di Carlotta.
“Se t’avessi sentito dopo sabato…”
“E cosa gli hai detto?”
“Che ieri sera siamo stati al telefono un’ora. Dell’invito di stasera non gli ho detto niente perché hai scritto di non dirgli NIENTE… Però ora mi devi dire che cosa c’è sotto, perché qua c’è sotto qualcosa: io me lo sento…”
Carlotta attese che Mei posasse sul tavolo il grande piatto con quello che le aveva chiesto e che si allontanasse, poi, senza guardare Marco in faccia e con un tono appena percettibile di voce e scandendo per bene ogni sillaba, disse: “Io e Dario abbiamo scopato…”
Marco impiegò qualche istante a mettere insieme quelle poche sillabe nella sua testa in modo che formassero un discorso compiuto. Poi, per essere certo di non avere frainteso, chiese: “Insieme?”
“Ma no. Ognuno per conto suo…” replicò Carlotta alzando gli occhi al soffitto.
“OK. Intendevo dire: com’è potuto accadere?”
Carlotta giunse le mani a piramide, poi prese a raccontare: “Quando siamo tornati dal lago, abbiamo lasciato Barbara ad una festa e Sandra non era in casa. Gli ho chiesto di salire per tirare tardi insieme. Ci siamo scolati della tequila, e a quel punto gli ho detto che era meglio se restava a dormire sul divano. Poi invece è crollato sul mio letto, ci siamo detti che tanto non sarebbe successo niente ed invece…”
“Ed invece è successo…?”
Carlotta assentì con il capo. “È cominciato come un gioco. Eravamo completamente fuori di testa. Non facevamo che ridere e stuzzicarci ripentendo tanto non succede niente, ed invece…”
“Ed invece è successo…” ripeté Marco, senza più alcuna ombra d’incredulità nella voce. “E adesso?”
E adesso...? Cosa vuol dire e adesso?”
“No vabbè, intendo dire... la mattina dopo, che avete detto?”
“Che dovevamo dire, Marco? Io avevo un mal di testa tale che, francamente, mi irritava anche solo sentirlo sussurrare…”
“E quindi…? Ne avrete parlato, poi…” la incalzò lui.
“Non ne abbiamo parlato. La mattina dopo è andato via quatto quatto, per non farsi sentire dalle altre, e non l’ho più visto né sentito… Credo che sia troppo imbarazzato per farsi vivo…”
“Imbarazzato? Perché? Ha fatto cilecca?”
“Macché cilecca, altro che cilecca… Erano ere glaciali che non godevo tanto…”
Marco, che stava giusto giusto prendendo il coraggio di portarsi alla bocca il primo uramaki della serata, ristette e replicò: “L’hai detto anche di Paolino…”
“Lascia stare Paolino: non c’è confronto” rispose secca Carlotta.
“Ed allora, di cosa dovrebbe essere imbarazzato?”
“Probabilmente non aveva mai preso in considerazione l’idea che tra noi potesse succedere qualcosa, ed ora non sa come comportarsi…” rifletteva Carlotta.
“Dario?” replicò Marco. “Dario ha fantasticato di portarsi a letto ogni donna appetibile che abbia incontrato, con la sola eccezione della madre –spero–. Credimi, lo conosco da più tempo di te e di queste cose ne abbiamo parlato…”
“Anche di me, avete parlato…?”
“Parlato di te no, ma… ti sei mai accorta di tutte le volte che s’incanta a guardarti le tette…?”
Carlotta si sciolse in un sorriso, a mezza via tra il beato ed il beota. “Oh sì” disse avvampando, “le mie piccole tette gli piacciono proprio tanto…”
Marco depose definitivamente l’uramaki che teneva stretto tra le bacchette di legno. Cercando di cambiare argomento, e di togliersi dalla testa l’immagine di Dario che succhiava i seni di Carlotta fino a morirne, disse: “È terribile… finirete come Ross e Rachel… un tira&molla di stagione in stagione, e noialtri tutti a farvi da comprimari in attesa che decidiate se mollarvi o sposarvi…”
“Non so…” fece Carlotta, che invece aveva cominciato a mangiare il suo sashimi con una discreta voracità. “Può darsi che non accada niente… Voglio dire: ci siamo divertiti non poco ma, forse, s’è trattato di una cosa molto accidentale, che non si ripeterà più e che non lascerà conseguenze…”
“Vuoi dirmi che non avresti problemi se tutto restasse esattamente come prima?”
“Marco, lo sai che sono una donna pratica e con i piedi per terra… e al momento non provo nessuno sfarfallio allo stomaco pensando a Dario, te lo giuro…”
“Ce l’ha davvero così grosso come sembra?”
“Oh sì. E sa anche come e dove usarlo…”
“Ok ok” la fermò Marco. “Mi racconterai i dettagli più tardi. Ora m’è venuto un appetito furibondo…”
La mattina successiva, Marco, che ancora non era riuscito ad incrociare Dario e a complimentarsi con lui per le sue grosse doti, ricevette un sms da parte di Andrea che recitava solamente: Devo parlarti. La cosa buffa, oltre al fatto che il messaggio era identico a quello di Carlotta del giorno avanti, era che Marco, dopo aver salutato l’amica la sera prima, aveva chiamato Andrea e che erano rimasti a conversare al telefono per oltre un’ora.

L'episodio 1.
L'episodio 15.

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